Il fratello di Yorick

Yorick

Quando hai bisogno di scrollarti di dosso i cattivi pensieri, non c’è niente di meglio del lavoro manuale. Aria fresca e un po’ di sana fatica, ecco tutto. Certo, non tutti sceglierebbero un cimitero come palestra, ma Caino è fatto a modo suo.
Così, lasciatosi alle spalle l’assolata Grecia, aveva deciso di lavorar di vanga in Danimarca, non troppo distante dal castello di Elsinore. Il lavoro per i beccamorti non mancava mai da quelle parti e il bello doveva ancora venire, ma a Caino non interessava granché, così come non gli importava dei due chiacchieroni che bighellonavano tra le lapidi. Il primo era uno spilungone biondo, vestito tutto di nero, e l’altro un tipo insignificante che lo seguiva come un’ombra. Uno parlava, l’altro ascoltava. Sempre.
Nonostante il suo ostentato disinteresse, a un certo punto ebbe l’impressione di sentirsi chiamato in causa. Si disse che non poteva essere, che capita spesso di fraintendere stralci di conversazione, perciò tenne la testa bassa e attaccò a cantare.

Un piccone, una vanga e un badile
e per sudario un lenzuolo gentile.
Una fossa d’argilla così ben fatta
al suo ospite sarà proprio adatta.

Così facendo, però, finì per attirare l’attenzione del biondo. A vederlo da vicino era proprio pallido e Caino conficcò la pala nel mucchio di terra, per starlo a sentire.
“Di chi è questa tomba, messere?”
“Mia, signore.”
Lo spilungone in nero snudò i denti, in una smorfia che difficilmente poteva passare per sorriso. Il suo tirapiedi lo imitò, con migliori risultati, ma rimase zitto.
“E’ per i morti, non per i vivi, dunque tu menti. Qual è l’uomo per cui la scavi?”
“Mio fratello.”
Caino aveva risposto d’istinto, senza pensarci. Stava per tentare di correggersi, quando il biondo venne tirato per la manica dal suo compagno che gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Dopo aver ascoltato, annuì a beneficio del beccamorto.
“Ah povero Yorick! Un tipo dall’umorismo infinito e dall’eccezionale fantasia. Dove sono adesso i tuoi lazzi?”
Sospirò e distolse lo sguardo, con tutta la malinconica del mondo. Era proprio bravo, come attore melodrammatico. Caino s’irritò, non tanto per l’equivoco circa le sue parentele, ma perché sentiva la sua mestizia sfigurare al confronto.
“Voi siete il Principe, non è vero? Amleto.”
Lo spilungone sembrò sorpreso dalla domanda e così l’altro. Annuirono all’unisono.
“Allora condoglianze per vostro padre.”
“E’ morto da appena due mesi… Oh no, che dico, nemmeno tanti… Un Re così eccellente confrontato a questo. Ah, cielo e terra, come non pensarci! Ma spezzati mio cuore, che io ora debbo frenare la lingua.”
Si coprì il volto con le mani, subito spalleggiato dal suo compare.
Caino sbuffò.
“E’ stato ammazzato, dico bene? Da suo fratello, per il trono.”
Quelle parole ben assestate strapparono il Principe della sua languida malinconia. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, il suo tirapiedi sarebbe stato bello che trafitto.
“Non parlare mai di quello che avete visto. L’avete giurato sulla mia spada!”
Prima che Amleto potesse ricordare di avere l’arma appesa al fianco, il beccamorto sollevò la vanga e la conficcò con forza tra i due uomini.
“Ci sono arrivato da me. E non serve essere un indovino per capire che cercate vendetta. Ma date retta a chi ha più esperienza: il segreto e la spada non fanno al caso vostro.”
Il Principe lo fissò incuriosito e Caino proseguì.
“Fate che tutti sappiano. Nessun trono è abbastanza in alto da mettere un uomo al riparo dal marchio d’infamia. Spargete la verità sulla terra smossa e aspettate che germogli: gli renderete insopportabile la vita da sovrano, senza una goccia di sangue.”
Per un attimo Amleto sembrò davvero colpito. Poi, con gesti calmi e lenti, prese un taccuino dalla tasca e lo sfogliò, fino a trovare un passo.
“Un uomo può sempre sorridere, e sorridere, ed essere il peggiore dei ribaldi. Almeno in Danimarca.”
Infine scosse la testa e uno refolo di vento collaborò a rendere il gesto drammatico.
“Il mio caro zio sarà servito. L’ho giurato. Addio, ricordati di me.”
Girò sui tacchi e cominciò ad allontanarsi. Il suo compagno stava per seguirlo, quando la mano pesante del beccamorto gli crollò sulla spalla.
“Tu stai sempre zitto. E poi rispondi sempre di sì, mi raccomando. Finirà in tragedia e tutto quello che potrai fare sarà raccontarla.”
Anche con gli occhi sgranati quel tipo restava insignificante. Non appena Caino lo lasciò andare, trotterellò subito dietro al suo Principe senza aggiungere una parola.
Di nuovo solo, il beccamorto riprese la vanga, ma venne distratto da un luccichio nel cumulo di terra. Raccolse il teschio semisepolto e se lo portò all’altezza del viso.
“Essere o non… Puah!”
Lo lasciò cadere nella fossa e gli gettò sopra una palata di terra, per coprirlo insieme alla propria autocommiserazione. In fondo come pessimo fratello era in buona compagnia.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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