L’ultimo pasto – Passo dopo passo

Quando Oscar ha proposto il tema, ho iniziato a documentarmi un po’ su internet in cerca di ispirazione. Sono subito inciampata nel progetto fotografico No seconds di Henry Hargraves e ne sono rimasta davvero colpita: mi piacciono la semplicità dell’idea e l’aspetto così schietto e onesto. Fotografare l’ultimo pasto dei condannati a morte, riportando nome e colpa accanto all’ultimo desiderio, mi è sembrato toccante perché da una semplice immagine emerge in qualche modo la persona dietro la condanna. Volevo  ispirarmi a quel lavoro, ma senza farne una copia e volevo unirlo alla mia idea iniziale di rappresentare una cascata di sedie elettriche vuote. Ho quindi realizzato un progetto cartaceo usando i ritagli di fotocopie, ma la febbre che mi funesta da qualche giorno ha reso subito evidente che non sarei mai riuscita a ritagliare quelle stramaledette, piccole sedie elettriche. Non prima di affettarmi un dito e sacrificare un secolo alla missione. Perciò ho virato sul digitale, che grazie al cielo richiede meno mano ferma, e ho composto la striscia di sedie come me l’ero immaginata, per poi aggiungere sulla sinistra le scritte tratte dal lavoro di Henry Hargraves. Avrei voluto inserire un vassoio da mensa, ma non ho trovato nulla che mi soddisfacesse per aspetto e forma, così ho ripiegato sul più classico piatto tondo. Ovviamente vuoto.
Per finire ho ripreso la scritta da una delle foto di Hargraves, togliendo ogni nome e riferimento preciso al contesto. Potrebbe essere chiunque, anche il nostro Caino.

Maria

Metto subito le carte in tavola: sono un ammiratore di Enrico Ruggeri. Ho sempre amato i suoi testi ricercati e il suo timbro unico, perciò sapevo che prima o poi l’avrei infilato nelle frittelle. Meglio ancora se in compagnia della voce di Andrea Mirò.
Al di là della musica, però, mi piaceva l’idea di legare una volta tanto il nome di Caino a una causa, oltre che a un’associazione, nobile. Ho già speso troppe parole sulla schiavitù e trovo che la pena di morte ci vada a braccetto, come annullamento della libertà di vivere, perciò stavolta vi risparmio i miei pensieri sghembi in merito.
Del resto sulla vita carceraria e sulla pena di morte c’è una vasta letteratura, oltre che filmografia. Pur non essendo un suo accanito lettore, il primo nome che mi viene in mente è quello di Stephen King: non posso esprimermi sui testi, ma le traduzioni cinematografiche de Il miglio verde e soprattutto de Le ali della libertà mi hanno sempre colpito a fondo. Oltre alle ovvie riflessioni, c’è un’atmosfera particolare, malinconica e struggente, simile all’odore che si può sentire in una vecchia soffitta.
La prima impressione, in fondo, è quella di vite sospese, messe in disparte nell’attesa di una liberazione che potrebbe non arrivare mai. Per quanto possa essere terribile il crimine, c’è qualcosa nella condizione di carcerato che la rende una metafora davvero efficace della condizione umana. Forse la precarietà, forse la lotta per ritrovare un senso e la tentazione di lasciarsi andare. Per questo non ho sentito il bisogno di citare mai il nome di Caino in questa frittella: potrebbe davvero essere chiunque.
Tra un ragionamento e l’altro, ho finito per essere criptico e la nostra lettrice Diamante mi ha colto sul fatto. Senza eludere il punto sparandole grosse, le bocche sporche di zucchero degli altri carcerati volevano dimostrare questa condivisione: se Caino ha confessato un crimine per arrivare sull’orlo della pena di morte, è stato per spartire con loro le sue frittelle. Essere colpevole senza essere mai punito è la sua condanna peggiore, ma non significa che non capisca chi deve fare i conti con l’umana, imperfetta giustizia. Spero di essermela cavata con la spiegazione della barzelletta, eheh.

Oscar

Categorie: Accidia - Le fatiche per Caino

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