Re dei giullari

 

hopfrog

All’epoca del mio racconto i buffoni di professione erano ancora in auge a corte. Molti “potenti” del continente avevano i loro “matti” che indossavano abiti variopinti e berretti a sonagli; da loro ci si aspettava una battuta arguta sempre pronta, in cambio delle briciole che cadevano dalla mensa del re. Il “nostro” re aveva, ovviamente, il suo “giullare”. Il suo burlone professionista non era tuttavia soltanto un giullare. Il suo valore era triplicato agli occhi del re perché era anche nano e storpio. Penso che il nome di “Hop-Frog” non fosse stato imposto al nano dai padrini di battesimo, ma gli fosse stato conferito, per consenso generale dei sette ministri del re, in virtù della sua andatura discontinua, qualcosa di mezzo tra un saltello e una contorsione.
Si dà il caso che quella sera fosse il compleanno del povero nano e il re, non certo festeggiarlo ma per semplice coincidenza con un importante festa nazionale, avesse ordinato di allestire una festa in maschera per alleviare il tedio delle sue giornate (e si sa che le giornate a corte sono più lunghe che altrove). Tutti avevano deciso per tempo quali personaggi interpretare, tale era l’attesa per l’evento; tutti, con l’eccezione del re e dei suoi sette ministri. A ogni modo, dopo un breve e poco gradevole colloquio con Hop-Frog (che comprendeva del vino versato a forza nella sua gola e dell’altro vino gettato in faccia alla sua unica amica, la graziosa danzatrice Trippetta, nana a propia volta), anche gli otto burloni non professionisti avevano vestito i rispettivi costumi.
“Gorilla, eh?”
Hop-Frog, che in quel momento sbirciava il salone delle feste dall’intercapedine dietro a un dipinto, trasalì nel sentire una voce sconosciuta alle proprie spalle. L’uomo non era in costume, non era armato, non era… Chi diavolo era?
“In realtà il mio signore e i suoi ministri sarebbero travestiti da oranghi.”
“Allora non dovevi metterci tutta quella pece nera. Ma immagino non sia solo estetica.”
Il giullare digrignò i lunghi denti cavallini. Possibile che quel tanghero sapesse dei suoi propositi? Eppure la sua era una vendetta ispirata dall’ebrezza del momento, non certo premeditata; sebbene tanto a lungo avesse subito la derisione dell’intera corte.
“La festa sta per cominciare, signore. E voi non siete in maschera.”
“Nemmeno tu.”
“Quella del buffone è di per sé una maschera.”
“Allora anch’io ho sempre indosso la mia.”
Per qualche ragione lo straniero accennò a sfiorarsi la fronte, ma all’ultimo lasciò ricadere la mano. Hop-Frog approfittò dell’indecisione.
“E quale sarebbe la vostra maschera? Se posso chiederlo.”
“Quella di Caino.”
Il nome del primo assassino risuonò grave e minaccioso in quello spazio così piccolo. Per un attimo il giullare ebbe la certezza che lo sconosciuto fosse lì per ucciderlo e si preparò a difendersi, contando sulla forza scimmiesca delle braccia.
“Non sono qui per fermarti. Hai fatto un complimento al re, tramutandolo in animale.”
Hop-Frog non abbassò lo guardia, chiuso in un silenzio diffidente.
“Non puoi chiedere alla tua amica di sollevare otto oranghi, nemmeno con l’argano del candelabro. Ci penserò io.”
“Perché aiuteresti un povero nano?”
Lo straniero gli poggiò una mano sulla spalla.
“Tra poco non ci sarà più nessun povero nano. Fai entrare gli oranghi incatenati.”
Il giullare cominciò a strisciare nell’intercapedine, verso l’uscita, poi si fermò di colpo.
“Tu… Tu hai portato il vino nella sala del trono. Lo stesso vino che il re mi forza sempre a bere, per vedere la follia prendersi i miei pensieri.”
“No, io sono quello che ha portato il dolce che hai assaggiato di nascosto. Lo stesso dolce che ti ha dato l’ultima spinta ai tuoi propositi di vendetta.”
Hop-Frog snudò di nuovo i denti.
“Li guarderemo bruciare, fianco a fianco?”
“E’ meglio se ti godi lo spettacolo insieme alla tua bella.”
Il giullare rise e così Caino. Nel salone delle feste si udì un suono basso, rauco, prolungato e stridente che sembrava arrivare contemporaneamente da ogni angolo. Qualcuno disse che doveva essere il grande pappagallo del re, che si affilava il becco sul fil di ferro della gabbia. Poi i falsi oranghi fecero la loro irruzione, ghignando e strillando per l’ultima burla prima della fine.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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