Le porte della percezione

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Mi prude il naso. Odio stare fermo. Soprattutto con addosso abiti da cavallo secolo. Ma come fai a ottenere un ritratto da un artista rinomato, senza darti un po’ di arie?
Roba da teste coronate. Di quelle rotolate nei cesti della Rivoluzione, nemmeno troppo tempo fa. Ah, a questo proposito…
“Sa perché ho scelto proprio voi?”
L’inglese solleva lo sguardo dalla tela. E’ spiritato, sembra impiegare un attimo a mettermi a fuoco. Però il contegno lo recupera in fretta.
“Sono lieto che stia per dirmelo, signore.”
“Per l’accusa di lesa maestà.”
Mette su un mezzo sorriso, come se non avesse capito la battuta fino in fondo.
“Sono stato assolto.”
“Cosa testimoniarono contro di voi? Che avevate gridato “Sia maledetto il Re! I soldati sono tutti schiavi!”, giusto?”
“L’accusatore era un soldato. Ora, se permettete…”
Gli occhi di nuovo si abbassano tra i colori del ritratto.
Non me lo fa sbirciare, io non chiedo pause e lui non le concede. Del resto non si lamenta nemmeno se mi muovo. Tipo strano questo Blake.
Chissà poi perché lo sto facendo. Magari finisce che regalo la tela a Grendel, così se la mangia e fine. Di sicuro non ho un caminetto sopra il quale appenderlo.
Cambiamo argomento.
“Ho sentito che state illustrando la Commedia.”
“Un’impresa colossale. Prego di avere la fortuna di compierla.”
Noiosetto, oltre che di poche parole. Così non va, non può essere l’uomo giusto, tutto tempo buttato, tutto…
“Ecco. Ho finito.”
E così, con tutta la semplicità di un folle visionario, William Blake sposta il cavalletto, per permettermi di vedere me stesso. Noto subito la foga dei colori, apprezzo la posa, mi sorprende lo sfondo e infine comprendo che…
“Non mi somiglia affatto.”
Non arriverà fino a Grendel. Lo spaccherò in testa a questo mistificatore.
“Sei forse cieco, vecchio? O forse ti diverti? Questo non sono io. Questo è…”
Sento la bile in gola.
“Mio fratello.”
Lo sussurro, strozzato.
Lui sorride.
“Non siate come quel soldato, comprendete la mia buona fede. Vi chiedo di spalancare le porte della percezione, la stessa richiesta che invano presento a tutti. Io guardo voi e vedo l’infinito ciclo. Purificato dal sangue.”
Lo afferro per il bavero da damerino.
“Non è divertente.”
Solleva una mano tremante, mi sfiora come una falena, scosta un ciuffo dalla fronte. Sento che mi guarda dritto nel marchio, come fossero quelli i miei occhi.
“Io guardo te e vedo Abele. Gemelli al mio sguardo.”
Cade a terra. Ma sono io a essere sconvolto. Ricordo uno dei suoi scritti.
“Tu hai scritto del fantasma di Abele. Della vendetta, sua e di Satana.”
E’ in ginocchio ora.
“L’Antico Dio degli eserciti sa essere crudele. Tirannico. Lo capisco.”
Tende la mano verso di me, in una richiesta d’aiuto, in un trucco per toccarmi. Sento cosa sta per dire, immagino le sue labbra muoversi e far testimonare all’aria che non è stata colpa mia. Che anche Esaù e Giacobbe si sono infine riappacificati.
Predicatore da due soldi: Abele e io non siamo gemelli.

Solo nel suo studio, William Blake si rialza e sospira. Annaspa, gli occhi fissi nel vuoto e sfiora un foglio vergato nella sua stessa scrittura. I proverbi dell’inferno, titola.
“Il verme tagliato perdona l’aratro.”
Non legge altro, siede di fronte al ritratto e chiude le palpebre. Spalancando lo sguardo oltre le porte della percezione, nel disperato tentativo di seguire la fuga del pazzo, povero assassino. Invano.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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