Hashashin

 

hashashin

L’assassino aveva vagato in lungo e in largo per il deserto, alla ricerca della sua vittima. Gli avevano sconsigliato di attendere accanto ai pozzi, gli avevano proibito di raccogliere voci tra i nomadi delle sabbie, gli avevano assicurato che, se era il volere di Allah, sarebbe semplicemente incappato nell’uomo che cercava. Di notte, però, lo sguardo di Colui che tutti osserva gli pareva freddo e distante, mentre di giorno erano i suoi di occhi a essere ingannate dai miraggi, dalle fate morgane e dai demoni del deserto. Tuttavia aveva già affrontato tutto questo e più di una volta: non temeva ciò che sentiva vicino. Allo stesso modo non temeva nemmeno il volto sconosciuto dell’uomo che avrebbe ucciso, poiché era stato addestrato al solo scopo di uccidere senza essere visto. L’ombra di un pugnale sa spingersi lontano, per cogliere il fiore che il padrone desidera. Così, forte della propria disciplina, l’assassino inumidì la falda del turbante e frustò il cammello, su per la duna seguente.
Non appena il vento sferzante glielo permise, socchiuse gli occhi e dall’alto del suo castello di sabbia avvistò la città fantasma di Ouadane, un labirinto di pietre rosse e dorate come la sabbia. Case disabitate, torri non sorvegliate, un minareto senza grida. Eppure qualcosa nell’ammiccare del tramonto accese la speranza nell’assassino: forse il suo viaggio era giunto al termine. Smontò dalla grossa del cammello.
Allungandosi di pari passo con le prime ombre della sera, scivolò a ridosso delle mura in rovina e scivolò all’interno. Sulla punta delle dita poteva sentire il metallo che pizzicava, appena sotto la guardia del pugnale già sguainato per metà. Scelse con cura ai bivi, camminò con passo di vento, finché si trovò con la schiena addossata allo scheletro del minareto crollato. Aspettò di sentire un urlo, contando cinque battiti di cuore, prima di rassegnarci a sgusciare all’interno, nel silenzio.
La vittima designata era davvero lì, come una miracolosa risposta a una preghiera. E in effetti sedeva prostrato su un piccolo tappeto, l’immagine del vero credente. Il coltello si liberò dal fodero ben oliato senza l’ombra di un sibilo; nemmeno l’uomo davanti a lui emetteva suoni. I piedi dell’assassino solcarono la polvere senza disturbare i sassi; nemmeno l’uomo davanti a lui li sfiorò, mentre toccava il suolo con la fronte e i palmi. La presa intorno all’elsa si strinse senza sudore, pronta per il colpo ferale; nemmeno l’uomo davanti a lui mostrò segno di sforzo, quando si voltò di scatto per guardare il sicario negli occhi. Il braccio e la lama esitarono, ma una breve occhiata confermò all’assassino che la vittima, fedele al suo ruolo, non era armata.
“Il tuo viaggio finisce qui. Alla città fantasma di Ouadane.”
“Sapessi quanto ti ho aspettato.”
L’uomo fece un sorriso stanco, prima di continuare.
“Dimmi solo chi ti manda, prima.”
L’assassino scosse il capo, celato dal turbante.
“Non posso.”
“Hai paura che ti scampi?”
“No.”
“Allora sei forse stupido?”
La vittima lo disse ridendo e Allah comanda pazienza con i pazzi, perciò il sicario decise di dargli una risposta. Oltre a donargli qualche altro istante di fiato.
“Colui che manda tutti noi Nizariti è il Vecchio della Montagna. Il primo tra gli assassini, sommamente onorato nella roccaforte di Alamut.”
L’uomo stavolta scoppiò a ridere.
“E’ molto vecchio, questo primo assassino?”
“Più vecchio del mondo, per uno come te.”
Un’altra risata.
“E io che pensavo di avesse mandato mio fratello Abele…”
Stanco di quelle farneticazioni, l’assassino levò il braccio, veloce come un aspide. Quando calò il colpo, lo fece con tanta foga da sbilanciare chi l’aveva vibrato. Aveva mancato il bersaglio. Anzi, da un momento all’altro non c’era più nessun bersaglio. Svanito nel nulla, come un miraggio o una fata morgana.
L’assassino srotolò il turbante e si passò le mani sul viso, sfregando a fondo gli occhi. E per la prima volta decise di tornare ad Alamut, con la notizia di un fallimento. Se il Vecchio della Montagna voleva che desse la caccia a un demone del deserto, doveva essere certo che ad averne richiesto la testa fosse davvero un angelo dello Janna.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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