Il vangelo di Giuda

giuda

A Caino non piaceva bussare. Gli toglieva tutto il gusto del drammatico.
Perciò, con il marchio che gli prudeva ancora sulla fronte per l’ultimo viaggio intrapreso, entrò nel camerino sbattendo la porta.
L’uomo seduto all’interno trasalì. Per un attimo lo specchio incorniciato di lampadine raddoppiò il numero di facce stupefatte, ma quando l’Iscariota balzò in piedi restarono solo due dolcevita decapitati. Aveva proprio l’aria di un attore teatrale e, non appena aprì bocca, la voce ruvida non fece altro che confermare l’impressione.
“Di pessimo gusto, non trovi?”
Indicò Caino che solo allora si rese conto di avere ancora il cappio intorno al collo. Aveva portato la corda dritta dritta in casa dell’impiccato. Non poté fare a meno di ridere, mentre se la sfilava.
“Pronto per lo spettacolo?”
“Ho avuto abbastanza tempo per prepararlo, direi.”
Giuda si rimise seduto, mentre il primo assassino appoggiava il cappio sulla mensola per i trucchi e cominciava a gironzolargli alle spalle. Fece il gesto di portarsi una mano all’orecchio, per ascoltare un boato inesistente.
“Sono passato dalla sala. E’ bella affollata.”
“Se sapessero che sei qui, lo sarebbe ancora di più.”
Caino annuì, sfregandosi le nocche sul bavero con aria di falsa modestia.
L’Iscariota, però, non lasciò cadere il discorso.
“Dovresti andarci tu su quel palco.”
“E privarti della tua libera uscita?”
Giuda scosse la testa, quindi prese una moneta e cominciò a farsela girare sulle nocche. Era un siclo di Tiro, ancora brillante d’argento.
“Ancora non capisco perché Lucifero me lo permetta.”
“Nessuno meglio di lui capisce il peccato d’orgoglio. E’ un buon diavolo, in fondo.”
L’Iscariota lo guardò fisso negli occhi.
“No, affatto.”
Venne percorso da un brivido, forse al ricordo della Caina o delle fauci del Diavolo. L’Inferno non è noto come sfondo ideale per le diapositive da mostrare ai parenti.
Per un lungo istante due uomini rimasero in silenzio, assorbiti dallo sforzo di mostrarsi alle prese con il pulviscolo da spazzare via dagli abiti o con ciocche di capelli da rimettere a posto. Solo quando l’imbarazzo divenne insostenibile, Caino prese un involto dalla tasca e lo poggiò sulla mensola, proprio dentro al cappio.
Aveva tutta l’aria di una trappola e la mano di Giuda esitò, evitando di sfiorare la carta.
“Meglio prima per darsi coraggio oppure dopo, come premio o consolazione?”
Il primo assassino si strinse nelle spalle.
“Si è già raffreddata da un pezzo. Perciò non è che faccia tutta questa differenza.”
L’altro annuì.
“Non è che avresti anche una sigaretta, vero?”
“Quella roba fa male. C’è scritto persino sul pacchetto.”
Sorrisero entrambi, senza una ragione in particolare.
C’era un orologio nell’angolo buio oltre lo specchio, Caino se ne accorse solo in quel momento, sentendolo battere l’ora.
Giuda si sfregò le mani sulle cosce, prima di alzarsi.
“Devo andare.”
“Ti serve una mano per inneggiare agli escrementi, come piace a voi guitti, o possiamo risparmiarcelo? Mi sono sempre chiesto come funzionasse per i monologhi.”
L’Iscariota gli passò accanto, fermandosi davanti alla porta del camerino. Lanciò un ultimo sguardo allo specchio o forse alla frittella.
“La scaramanzia è fondamentale. Ma sono abituato a recitare da solo.”
Sotto gli occhi di Caino, ripiegò il collo del maglione per mettere in mostra un livido violaceo sulla gola. Lo sfregò tre volte, prima di varcare la soglia e guadagnare il palco.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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