Dioscuri
Tirava un vento spietato sul monte Olimpo e la notte non era poi così calda.
Non che Caino avesse avuto modo di prepararsi per la scampagnata, ma sapeva di essere andato a caccia di guai quando aveva lasciato maneggiare il suo marchio a qualcun altro. Rise da solo a quel pensiero, trovandoci un doppio senso osceno. Più di tutto, però, sorrideva amaro per aver perso la strada proprio a partire da una fiaba, il crocicchio senza tempo per eccellenza. Idiota.
Comunque non tutti i mali venivano per nuocere. Forse avrebbe convinto Efesto a fargli usare la sua fucina, poi sarebbe bastato elemosinare qualche spiga a Demetra e una tazza d’acqua a Poseidone per impastare delle frittelle divine. Altro che ambrosia.
Sospinto da quella giusta causa, continuò ad avanzare a tentoni nell’oscurità, puntellandosi con mani e piedi sulle asperità del terreno. La dimora degli dèi non si sarebbe fatta vedere tanto facilmente, perciò conveniva che si arrampicasse di buona lena, se non voleva arrivarci quando Apollo stava già tirando fuori il carro dalla rimessa. Più o meno a metà strada, però, riconobbe lo scintillio di un focolare poco più in alto e decise che la cosa migliore da fare era dare un’occhiata: basta la minima mancanza d’attenzione per offendere una divinità permalosa, nessuno lo sapeva meglio di lui.
Gli bastò riconoscere l’uomo accampato per scacciare ogni preoccupazione.
“Polluce!”
Una folata di vento si portò via il grido di Caino, costringendolo a spuntare dal nulla senza essere annunciato. Non aveva fatto caso al cavallo impastoiato a un arbusto, perciò gli balzò il cuore in gola quando si mise a nitrire come un pazzo. Il padrone si affrettò a calmarlo, per poi invitare il nuovo arrivato a prendere posto intorno al fuoco.
“Ne è passato di tempo, Caino. Cosa ci fai sul nostro monte sacro?”
“Una deviazione non prevista. Tu invece? Sei stato buttato fuori di casa?”
Il dioscuro sorrise. Meno male, perché era un omaccione grande e grosso, oltre che mezzo nudo.
“Avevo bisogno di vedere le stelle dei gemelli. La nostra costellazione.”
Caino annuì, tendendo le mani per scaldarle al fuoco.
“Non ho mai capito come facciate a essere gemelli e fratellastri allo stesso tempo.”
L’argonauta si limitò a stringersi nelle spalle scolpite.
“E’ così e basta.”
“Certo, poi l’importante non è mai come cominciano le storie. Ma come finiscono. Stavo giusto cercando di farlo capire a un sempliciotto, un tale che voleva sposare una principessa a discapito del fratello minore.”
Il dioscuro aggrondò i lineamenti perfetti, senza perdere un briciolo del suo fascino.
“Perdonami, ma non mi sembri il migliore dei consiglieri sull’argomento.”
“Sì, hai ragione. Avrei dovuto mandarlo da te. Guardati, bello tranquillo sull’Olimpo, dio tra gli dèi, mentre tuo fratello, figlio di un povero mortale, è sprofondato nell’Ade. Tu sì che sei un vincente.”
Mentre dava fiato alla bocca, Caino vide una stella cadente rigare il cielo. Poi una seconda e una terza, troppo vicine per credere che fosse una coincidenza. Doveva aver proprio detto qualcosa di sbagliato, perché l’argonauta si era alzato in piedi e ora incombeva sopra di lui.
“Si può sapere con chi credi di parlare?”
Aveva stretto i pugni e Caino sapeva che non era affatto un buon segno. Deglutì.
“Con il grande pugile Polluce? Figlio di Zeus e di quell’altra?”
All’improvviso tratto il dioscuro scoppiò a ridere e il cavallo gli si accostò, spingendolo con il fianco come per esortarlo a raccontare a tutti la barzelletta.
“No, questo è il giorno di Castore figlio di Tindaro. Il mio giorno. Polluce ha pregato il suo divino padre di potersi alternare a me nell’Ade, per condividere la pena.”
“Lui ha fatto questo per te?”
“Mio fratello mi vuole bene. E anche ora, con gli occhi delle stelle, veglia su di me.”
Per un attimo sembrò che Caino stesse arrossendo per la vergogna, ma era il marchio arroventato a gettare quella luce: incapace di sopportare un’altra parola, il peggior fratello di ogni storia svanì come un filo di fumo nel vento.
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