Tura lura lural – Passo dopo passo
Siamo in Irlanda, un paese che ci piace un sacco. E che è pieno di bambini tristissimi. Ma li avete visti bene in faccia? Sono lì, in un festival musicale, a suonare e ballare cose che si spera gli piacciano e hanno un muso lungo che neanche la piccola fiammiferaia. So che non sembra un commento granché umano, ma mi hanno fatto ridere un sacco! Sarà che io ho suonato solo il corno inglese (lo strumento femminile per antonomasia, proprio), sarà che la sola idea di mettermi a cantare m’imbarazza a morte, fatto sta che un po’ li capisco. Per noi turisti è una pacchia, per loro è una specie di lunghissimo saggio. Visto poi che tutti sono lì a raccogliere le monete dei passanti, Oscar e io supponiamo che il vero genitore irlandese carichi la custodia sulle spalle del figlio e lo incoraggi con queste parole: “Va’ e torna col tuo violino. O su di esso”. Biglietto di sola andata per Sligo (cittadina meravigliosamente facile da pronunciare, nei dintorni della costa ovest) e via. Ne resterà soltanto uno.
Al di là dell’euforia da vacanza, devo dire che sfornare frittelle in trasferta non è una passeggiata. A meno d’imparare a disegnare in macchina (no, non succederà), la fotografia è senza dubbio l’arma migliore del turista frittellaro, ma ci deve essere una differenza tra l’equivalente esotico della foto deficiente in cui sostieni la torre di Pisa e uno scatto che vuole almeno provarci ad avere un significato. Questa serie di bambini tristi si colloca un po’ nel mezzo, perché da un lato volevo immortalare un ricordo di viaggio e dall’altro scattare come si deve. In mezzo alla folla, tra i turisti e i chioschi di cibo indiano. La sfida stava tutta qui. Vinta o persa, mi son divertita.
Maria
Il fritto di certo non manca in Irlanda, ma le frittelle come le intendiamo noi non erano ancora pervenute. Abbiamo rimediato volentieri, ricevendo in cambio un’ondata di musica (oltre che di pioggia, naturalmente). Così come i miti, le sonorità celtiche hanno sempre toccato una corda dentro di me e per questo secondo viaggio in Irlanda abbiamo avuto l’occasione di cominciare subito con un festival. Anzi, con il festival per eccellenza, stando alle fanfare del Fleadh Cheoil. Di sicuro le strade sono piene di musicisti, soprattutto giovanissimi delle scuole irlandesi, ma anche “infiltrati” di tutte le età che vanno a riempire pub, negozi e ogni angolo libero. Tanti strumenti e tante musiche diverse per una sola tradizione. Una meraviglia.
Di sicuro al nostro Caino si sarebbe potuta dedicare una canzone come Wild Rover, nella vana speranza che provasse a mettere la testa a posto, ma la nostra Sinead O’Connor cantava della ninnananna per Caino e noi ci siamo adeguati. Viste le orde sterminate di bambini con i capelli rossi, ho pensato di giocare un po’ con l’idea di un ribaltamento: anziché canticchiare ninnananne ai bambini, un tipo come il nostro eroe preferisce farsele raccontare. Prima di condannarlo come al solito, però, c’è anche da dire che, a differenza di tanti adulti per bene, è disposto a prendere del tutto sul serio un ragazzino, a parlarci da pari a pari. Del resto prendere sul serio faccende considerate da molto infantili, come miti e leggende, è una questione di sopravvivenza per Caino. E vi dirò la verità, anche per me. Visitare l’Irlanda con la chiave di lettura delle sue storie antiche raddoppia davvero il piacere della scoperta.
Per restare in tema di aneddoti, mi è venuto in mente lo spunto del motivetto che non si riesce ad associare a un titolo, perché è proprio quello che mi è successo durante il festival. Dovete sapere che ho studiato chitarra classica per anni e, mentre passeggiavo per le strade di Sligo durante il festival, due ragazzine mi hanno pizzicato l’orecchio con una canzone che sapevo di aver strimpellato a suo tempo. Così ho aspettato che finissero e ho chiesto il titolo. No, non voglio mentirvi, non è Tura tura lural, ma A fig for a kiss. Ascoltatela, se vi va, e brindate con noi alla verde Irlanda.
Oscar
Categorie: Accidia - Le fatiche per Caino