Grendel & Co.
Dato che purtroppo o per fortuna il Lago d’Averno non è ancora ghiacciato come il Cocito, Caino riemerse gocciolando dalla bocca dell’Inferno. Pur sapendo che non era da lui, decise di resistere alla tentazione di fermarsi a Pozzuoli per darsi una sistemata e fare provviste: doveva mettersi subito sulla via del ritorno. E siccome la famigerata Salerno-Reggio Calabria era una minaccia troppo vicina per dare fiducia ai metodi mortali, preferì viaggiare alla vecchia maniera. Il marchio si arroventò sulla sua fronte, asciugando all’istante un ciuffo di capelli fradici, mentre la macchia mediterranea sfumava e svaniva intorno a lui. Fu allora, nel bel mezzo del nulla dietro al mondo, che si ricordò di un’altra commissione e imprecò, finendo per sbagliare strada.
Capì che qualcosa era andato storto quando riconobbe il tintinnare di mazze chiodate. Oltre all’odore, naturalmente.
“Gaikokujin!”
Rossi, verdi, neri e blu, variamente accessoriati di corna e peluria, gli Oni saltellavano eccitati intorno a lui. Caino indossò il suo peggiore sorriso di circostanza, nascondendo il cestino di vimini dietro alla schiena, mentre rifiutava tutta una serie di cerimonie che solo mostri all’antica come quelli giapponesi potevano ancora rispettare.
“Sono davvero molto, molto mortificato. Sarà per la prossima volta, d’accordo?”
Infine s’inchino e arretrò di un passo. Quanto bastava per dissolversi dall’Hokkaido e ricomparire in Danimarca. Nemmeno stavolta era solo, ma se c’era una cosa che si poteva dire in favore degli Elfi è che sanno farsi gli affari propri: occhi scintillanti e punte di freccia l’avrebbero seguito per tutta la foresta, senza alcun bisogno di convenevoli. Mentre si domandava oziosamente se stavolta a prenderlo di mira fossero gli svartálfar, i dökkálfar o i ljósálfar (non che avesse chiara in mentre la differenza), incappò in un più pronunciabile nibelungo e gli chiese indicazioni per le rovine di Heorot. A quanto pareva, l’ultima volta le avevano viste non troppo lontano da lì.
Rincuorato, Caino allungò la falcata e in breve avvistò il cerchio di mura frantumate. E’ difficile a credersi, sapendo che basta una fessura nelle tapparelle per svegliarsi all’alba controvoglia, ma tra quei quattro sassi l’oscurità era totale. Non appena ne varcò il sipario, Caino fu costretto a proseguire alla cieca, finché riuscì a trovare in qualche modo un posto dove sedersi. Aspettò.
Non molto in realtà: venne afferrato da qualcosa nel buio che lo sollevò da terra, stritolandolo. Paonazzo in volto, Caino lasciò cadere il cestino di vimini.
“Auguri, Grendel.”
La creatura lo lasciò subito andare e un rumore di mascelle riempì le tenebre.
“Una frittella sola. Da bravo.”
L’entusiasmo della masticazione si attenuò un poco.
“E già che ci siamo, spiegami un po’ dove hai lasciato ancora il tuo braccio sinistro. Questa storia con Beowulf ha stufato ormai, non credi?”
Grendel mugugnò qualcosa a bocca piena, poi l’oscurità vibrò del suono di enormi ali membranose. Capita l’antifona, Caino cercò a tentoni la schiena del mostro e gli assestò una pacca paterna.
“Ne parleremo un’altra volta. Ora goditi la festa di compleanno: il tuo amico drago è già arrivato”.
Categorie: Gola - Le frittelle di Caino