Corsi e ricorsi – Passo dopo passo

Quando Oscar ha ripescato la storia della verità rivelata da un osso, mi è subito tornata in mente una foto del progetto Layers di Sara Lando. Senza stare a discutere sull’opportunità delle mie associazioni mentali, ho deciso all’istante di rappresentare la magia del flauto come qualcosa di fisico che fuoriesce dallo strumento.
Per cominciare ho preso una foto di Oscar (che come ormai avrete capito, è il mio modello preferito. O la mia cavia designata, fate voi), dopodiché ho disegnato il teschio grattando la superficie della foto con la lama di un cutter. Lo consiglio quando il vostro fidanzato vi fa girare le scatole: non avrà gli effetti di una bambolina voodoo, ma immagino che dia la stessa soddisfazione mentre lo si prepara. Tornando a noi, ho deciso che non avevo torturato la povera foto abbastanza, perciò l’ho tagliata in modo che non risultasse un blocco compatto. Volevo anche che le linee verticali ricordassero in astratto gli alberi di una foresta, per richiamare la fiaba.
Per concludere ho fatto qualche prova con delle strisce di garza che escono dal flauto, ma il bianco mi è sembrato subito troppo brillante e trovavo che sbilanciasse troppo la composizione verso il basso. Quindi ho impregnato la garza con del colore rosso e marrone, con l’intento di ottenere un tono cupo e sporco. Mi piace che la garza umida abbia macchiato il fondo e la foto, lo trovo coerente con l’idea e penso che aiuti a sporcare un po’ lo sfondo e la foto. Alla fine ho rifotografato il tutto approfittando della luce che entrava dalla finestra et voilat, il gioco è fatto.

Maria

La fiaba dell’osso che canta è una di quelle che passano di paese in paese, oltre che di bocca in bocca, cambiando la forma, ma non la sostanza. Stando solo alle versioni letterarie, avrei potuto riportare quella di Italo Calvino (dove la caccia è alle piume di uccello grifone): ho preferito i Grimm perché… Be’, perché sono fratelli e di questo si parla. Senza contare che mi sono divertito a ritradurre la fiaba (dall’inglese, lo ammetto, non conosco una sola parola di tedesco), soprattutto la canzoncina finale. Non volevo che suonasse troppo arzigogolata o stantia o infantile. Di storture ne sono state inflitte fin troppe alla fiabe, con la scusa di riservarle ai bambini.
Va bene, la smetto di fare il musone come Caino. Quello che m’interessava più di tutto era il gioco di specchi, citare la vicenda di Caino attraverso una storia dove nessuno pensa nemmeno lontanamente a nominarlo. E’ scontato dire che si tratta di un archetipo senza tempo, ma per evitare che il nostro eroe si monti la testa ho scritto la sua nuova avventura come se fosse un piccolo cameo all’interno della fiaba. Rimasto a corto di frittelle, il fratello peggiore di tutti i tempi avrebbe rimediato dando al tempo stesso buoni consigli e cattivo esempio.
Anche in questo caso volevo riprendere le cadenze da c’era una volta, con tutte le sue ripetizioni e i suoi schemi, senza appesantire troppo il risultato finale. Si fa presto a dire senza tempo, poi rivedi un film che dovrebbe essere un classico e non riesci più a godertelo per colpa delle spalline anni Ottanta, o della colonna sonora fatta con il sintetizzatore. Credo sia meglio cercare di stare sull’essenziale, con giusto una nota di colore o di profumo. A proposito di cinema dei tempi andati, ho trovato deliziosamente inquietante la canzoncina dell’osso in questa versione. Godetevela.

Oscar

Categorie: Accidia - Le fatiche per Caino

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