Il sogno di Caino
Caino era dannatamente in ritardo. Non ricordava di preciso per cosa, ma non aveva dubbi di esserlo e così correva. Anche se c’era qualcosa di strano nel cielo, e anche in tutto il resto a dir la verità, lui aveva troppa fretta per badarci. Tirò il fiato solo una volta di fronte al castello, sotto gli occhi dei guardiani della porta. Gli lasciarono tutto il tempo di passare dal paonazzo a un rosso pomodoro appena accennato, impassibile come solo dei mostri mitologici sanno essere.
“Salute a te, Caino.” esordì l’ippogrifo. Bizzarramente con testa equina, non da aquila.
“Sei atteso dal Signore dei Sogni.” annunciò la viverna. Non drago, mi raccomando.
“E in ritardo come sempre.” soggiunse il grifone. Uno nuovo, non il solito grifone.
Caino li gratificò con un vago svolazzare della mano, a metà strada tra un ringraziamento e una maledizione, prima d’infilarsi a passo di marcia nel palazzo.
“Ehi Caino, hai mica da accendere?”
Il primo assassino scosse la testa, scrollandosi subito di dosso l’inserviente con il sigaro infilato nella zucca.
“Oh, il signorino è troppo impegnato? Cose da fare, fratelli da ammazzare? Come no.”
Caino digrignò i denti, deciso a oltrepassare quell’idiota di Mervyn senza colpo ferire. Certo, sarebbe bastato così poco per spappolare quella lanterna di Halloween che chiamava testa… Del resto le cucurbitaceae sono così fragile e sugose…
“Caino.”
Voce impostata, contegno ineccepibile: Lucien, molto più che il bibliotecario.
“Ti avverto che il nuovo signore è assai… Indaffarato, dopo la sua recente nomina.”
“Vuoi dire irascibile, impaziente e pretenzioso?”
“Io non ho…”
“Come il suo predecessore, insomma. Me la caverò.”
Caino posò una mano sulla spalla di Lucien, per il solo gusto di sentirlo ritrarsi. Quindi tirò dritto verso la sala del trono.
“Mai più.”
Sollevando lo sguardo, il primo assassino vide Matthew il Corvo che svolazzava per la volta di pietra. Era quasi sicuro che stesse sogghignando.
“Potresti anche augurarmi buona fortuna, uccellaccio.”
“Un corvo portafortuna non s’è mai visto. E con Daniel la fortuna non attacca.”
“Daniel.”
Caino masticò il nome del nuovo signore come un cibo dalla consistenza strana. In casi come quelli è sempre meglio non guardare troppo cos’hai nel piatto, ma in un paio di passi lui si trovò dritto di fronte alla strana pietanza.
Il nuovo Signore dei Sogni sfolgorava di luce bianca, laddove il suo predecessore aveva sempre prediletto il nero. Eppure c’era qualcosa, forse nel portamento, forse nei capelli scarmigliati o forse negli stramaledetti occhi fondi come buchi neri, tanto oscuri da intrappolare lo scintillio di qualche stella lontana, che rendeva i due sovrani praticamente identici agli occhi di Caino.
“Rivoglio Abele.”
La richiesta suonò come il raglio di un mulo nel silenzio.
“Mi hai già sottoposto la tua petizione, Caino.”
“Lo rivoglio.”
“E ho già avuto modo di disapprovare i tuoi modi.”
Il primo assassino strinse i pugni.
“Qual è il problema, signore?”
“La tua descrizione non coglie la sua essenza.”
Caino masticò una risata amara.
“Tu puoi creare qualunque cosa, dare asilo a ogni immaginazione da ubriacone. Ma hai bisogno di una mia dannata descrizione per rifare mio fratello che tutti conoscono in questo stramaledetto reame?”
Si era spinto troppo oltre, lo capì non appena vide il Signore alzarsi dal trono.
“Io non sono al tuo servizio, Caino. I tuoi capricci non hanno importanza per me.”
“Ma…”
“Taci. Tu sostieni che il tuo mito ora sia come uno sgabello con una gamba di meno. Non è quello che vedo io.”
Con miserabile lentezza, Caino sfilò dalla tasca dei pantaloni una fotografia spiegazzata. La sistemò come poteva, con le sue mani grandi e callose, prima di mostrarla al ragazzo.
“E’ mio fratello. Per favore, Daniel.”
Gli tese la foto e, dopo un istante, una mano d’avorio si tesa per prenderla. Mancava un soffio, un baffo di gatto, un granello di sabbia…
–
Caino si svegliò di soprassalto. Gli occhi gonfi, la testa ronzante. Al buio frugò con la mano sul comodino: non cercava né l’interruttore, né un bicchiere d’acqua. La busta frusciò mentre due dita s’intrufolavano all’interno, la carta fotografica invece era liscia come ghiaccio, fatta eccezione per un buco piccolo e scabro. In mezzo alla fronte, dove l’aveva trapassata con uno spillone. Più per crudeltà che per appenderla.
“Lo rivoglio.”
Niente più che un sussurro tra le labbra spaccate.
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