Tura lura lural
Alcuni pensano che i bambini siano il futuro, altri che la loro innocenza vada preservata. Agli occhi di Caino, invece, sono piccoli uomini, particolarmente facili da fregare. Così, quando la memoria disseppellì solo a metà un’antica ninnananna celtica, sentita chissà dove, non andò a cercare un bardo nelle verdi foreste, né un pescatore all’ombra delle scogliere: molto meglio girare per le strade, durante un festival scolastico di musica tradizionale irlandese. C’era un gran fracasso, non tanto a causa della gente a zonzo per le strade (parecchia, per quella latitudine, ma lontana dall’idea di folla di chi ha visto la Babilonia dei bei tempi), ma perché ogni quattro passi era appostato un bambino armato di strumento musicale. Flauti, concertine, fisarmoniche, banjo, arpe… Per non parlare di quelli che si mettevano a ballare, con le suole metalliche e le braccia paralizzate come stoccafissi lungo i fianchi. Nessuno però cantava, per la somma irritazione di Caino. In questo modo i mocciosi non si stavano rendendo utili.
Girovagando tra una moltitudine di teste rosse, talmente tante che non se ne trovano nemmeno in una scatola di fiammiferi, Caino sperava d’incappare in una che prendesse fuoco per lui. A un certo punto gli cadde lo sguardo su un bambino appollaiato sulla vetrina di un negozio, con lo spartito gettato sull’asfalto e la custodia del violino spalancata per raccogliere qualche moneta gettata dai passanti. Al momento il giovane musico batteva la fiacca, con gli occhi socchiusi e la testa tonda appoggiata al vetro. Caino si accoccolò davanti al bambino e gli sventolò una mano davanti alla faccia, facendolo riscuotere all’istante.
“Vuoi che ti canti una ninnananna?”
“No, no, io devo…”
Senza prestargli attenzione, Caino cominciò a canticchiare a bocca chiusa, mettendo insieme dei bassi mugugni che un momento sembravano avere un costrutto e quello dopo invece no. Il bambino iniziò a dondolare la testa a ritmo, ma prima che potesse assopirsi di nuovo l’uomo gli schioccò le dita davanti agli occhi.
“Forza, moccioso. La conosci o no questa canzone?”
“Non so. Forse.”
“Forse? Farai meglio a esserne sicuro, altrimenti mi cerco qualcun altro.”
Il giovane musicista rimase a fissarlo interdetto, come se non potesse credere che tanta scortesia riuscisse a stare tutta in un uomo solo. Alla fine si strinse nelle spalle.
“Ah sì, non t’interessa? Non sai nemmeno come potrei ricompensarti. Potrei aver appena ritrovato la pentola d’oro di un leprecauno, alla fine di un arcobaleno. Faresti meglio a rifletterci, prima di negarmi questo piccolo favore.”
Senza aspettare una risposta, l’uomo canticchiò di nuovo il motivetto. Non riuscire a finirlo lo irritava, come un dolore a un dente sul quale non si può fare a meno di andare a battere con la lingua. Una volta finito, trasse un involto di carta da una tasca.
“Cos’è?”
Era chiaro che il bambino fosse più interessato dall’odore di zucchero che dai tentativi musicali di chi gli stava di fronte. Caino sbuffò dalle narici.
“Magari è il mio pranzo. Magari il tuo.”
All’improvviso motivato, il giovane musicista imbracciò il violino e con assoluta sicurezza andò a riprendere il motivo accennato dall’uomo. Quando lo completò, fu come se gli avesse grattato un prurito irraggiungibile sulla schiena.
“Vedi che sei un bravo figliolo, quando vuoi? Ora dimmi il titolo.”
“Prima voglio il dolce.”
Mise su una bella espressione imbronciata, fissando il suo interlocutore.
Caino digrignò i denti per un momento, poi gli scompigliò i capelli con un sorriso affilato e s’infilò di nuovo in tasca l’involto di carta.
“Non sei ancora pronto per questa. Magari tornerò a trovarti più avanti.”
Mentre si alzava in piedi, assaporò l’espressione delusa in quei giovani occhi. Quindi fece comparire una moneta con un gioco di prestigio e la fece saltare con l’unghia del pollice, gettandola con un volteggio insieme alle altre. Tuttavia il suo scintillio d’oro zecchino era inconfondibile nella massa ingrigita di euro.
Il bambino l’afferrò subito, sorridendo incredulo.
“E’ davvero di un leprecauno?”
“Te l’avevo detto, no? La prossima volta che avrò voglia di una ninnananna, tu dimmi anche il titolo e può darsi che ti dica come trovarne una pentola intera.”
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