Il grande occhio

 

mordor

Il vento sferzava le fessure tra le montagne, trascinando schegge di roccia e precipitandole giù nell’oscurità, ma senza nemmeno scalfire la massa di nubi che giganteggiavano sopra le vette. Grigie e cupe come miasmi malefici di quella terra nera, impedivano il passaggio alla luce e stringevano il cuore dei viandanti in una morsa gelata. Eppure le tre piccole figure continuarono a risalire la scala, sinuosa e ripida, fino a raggiungere un ripiano di roccia. Là il più robusto si mise seduto sulla pietra e invitò il più stanco a sdraiarsi con la testa sulle sue ginocchia. Nel giro di pochi istanti, giacevano addormentati. Restava solo il terzo, lacero, sporco e mezzo nudo.
Si aggirava nervoso tra le rocce, guardandosi intorno con occhi troppo grandi per il viso scavato. Poggiava spesso le mani a terra e di tanto in tanto sembrava parlare tra sé e sé. Le labbra livide si muovevano appena, ma la sua inquietudine risultava evidente.
D’improvviso voltò la testa, attirato dal suono di pietre che rotolavano a valle. Scivolò con cautela verso la fonte di tanto trambusto e rimase sbigottito nel vedere un uomo, nel mezzo del sentiero. Il sentiero segreto che nessun altro avrebbe dovuto trovare.
“Chi sarà, mio tesoro, chi sarà mai?”
Ben nascosto in un anfratto, rimase in attesa che l’uomo si avvicinasse abbastanza per saltargli alla gola. Doveva essere silenzioso e lesto, gli Hobbit non dovevano sentire, i cari Hobbit amici della gente alta e crudele non…
“Ehilà Smeagol!”
Come poteva averlo visto? Come poteva conoscere? Sapere? La creatura balzò fuori dalla tana, digrignando i denti spezzati.
“Non ti agitare. O li sveglierai.”
Rimasero a guardarsi in cagnesco, senza dire una parola. Poi Smeagol lasciò cadere la pietra che stringeva nel pugno.
“Che cosa sei tu? Ti conosciamo?”
“Io di sicuro conosco te. E so cosa c’è nella galleria dove li stai portando.”
La creatura cominciò a contorcersi in preda al panico, coprendosi il viso e biascicando. Aveva afferrato di nuovo la roccia, anche se in quel momento sembrava più il conforto di un bambino che un’arma.
L’uomo gli posò una mano sulla spalla tremante.
“Non voglio parlare di ragni. Sono qui per aiutarti.”
“Aiuta?”
“Sì.”
“Gollum?”
“Sì.”
Per un attimo gli occhi di Smeagol si fecero opachi, quindi restituirono il riflesso del suo sorriso sdentato.
“Siamo troppo vicini, vero tesoro? Troppo vicini… A lui.”
“Non vi ha ancora visti.”
“Ah, ma ci vedrà! Ci vedrà! Il caro padrone vuole nascondere… Nascondere il tesoro. Ma lui lo cerca sempre. Sempre.”
L’uomo si chinò di fronte alla creatura, per mettersi alla sua altezza.
“Ascoltami bene, Smeagol. Se tradisci il padrone…”
“Ma lui ha tradito prima!”
“Se tradisci il padrone, avrai tradito te stesso. Lo capisci?”
La testa ciondolante e il sorriso vacuo non dovevano sembrare molto convincenti, ma l’uomo non si diede per vinto.
“Sappiamo tutti e due cosa significa sentire sempre addosso lo sguardo del grande occhio. Rubare l’anello dal cadavere di Frodo lo renderà tuo solo per un po’.”
“Il mio tesoro…”
“No, è il tesoro dell’occhio. E lui non vuole che si tocchi ciò che gli appartiene.”
La povera creatura accennò a replicare, poi le parole si persero tra un ringhio e un ansito. Annuì sconfortata.
“Smeagol è buono con il padrone.”
“Bravo Smeagol.”
L’uomo prese da sotto il mantello un involto di foglie.
“Portalo agli Hobbit. Ne avranno bisogno.”
Due lunghe mani grigie si chiusero intorno al pacchetto. Smeagol lo annusò disgustato.
“Altro cattivo pane elfico?”
L’uomo si era già alzato e per la prima volta sorrise.
“Molto meglio. Piacerà anche a te.”
Mentre la creatura decideva se fidarsi oppure no, rimase di nuovo sola. Si guardò intorno, cercando l’uomo svanito nel nulla, poi tornò a fissare l’involto di foglie e decise che l’Hobbit grasso poteva provarlo per primo. Con la vaga speranza di riuscire ad avvelenarlo, trottò felice fino ai due compagni addormentati, ma, non appena lo sfiorò, Frodo si mosse e lanciò un piccolo grido. Sam su immediatamente sveglio.
“Che stai combinando?”
Smeagol nascose il pacchetto dietro alla schiena.
“Niente, niente. Caro Padrone!”
“Direi! Ma dove sei stato… Con questo tuo andare e tornare sgattaiolando, farabutto?”
La creatura indietreggiò e sotto le sue palpebre pesanti luccicò un bagliore verde. Con uno scatto dei polsi, scagliò via l’involto di foglie e si accovacciò come un ragno.
“Sgattaiolare! Sgattaiolare! Hobbit sempre così gentili, sì. Oh cari Hobbit!”
Il ricordo delle parole dell’uomo era volato via per sempre.

Categorie: Gola - Le frittelle di Caino

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